Concrete jungle where dreams are made of

L’avrai già ascoltata come minimo 15 volte da quando sei in volo. Le parole di Alicia Keys risuonano nella tua testa come un eco infinito: “concrete jungle where dreams are made of, there’s nothing you can’t do” Ci sei quasi, qualche manciata di miglia ti separa dalla “concrete jungle” dove nasce, prende forma e si realizza tutto ciò di cui ti sei nutrita fino ad ora: sogni. Sogni grandi, prepotenti, forse troppo per una ventenne di provincia ma tu ancora non lo sai. Sei qui, stai atterrando, la cognizione del tempo l’hai persa in volo sull’oceano ma poco importa; vedi i raggi del sole calante che spuntano dalle fessure ricavate tra i grattacieli per riflettersi sul mare e illuminare ogni cosa. Non è tutto oro quel che luccica, no, è ancora meglio: New York.

Trattieni il fiato mentre l’aereo tocca terra, e una lacrima scende lungo il tuo viso: è tutto straordinariamente vero. Hai 20 anni, sei appena atterrata nella città dei tuoi sogni, precisamente in uno degli aeroporti più grandi del mondo…. e non ha idea di dove andare!

Mandi un messaggino alla mamma che intanto starà dormendo e cerchi di capire come recuperare la tua valigia e soprattutto passare i temutissimi (almeno da me) controlli! La prima persona americana con cui parli è appunto un addetto alla sicurezza dall’aspetto burbero che con uno sguardo diffidente fa le solite domande inutili ma necessarie per controllare l’ingresso dei cittadini non americani in paese. E dopo che tu hai più o meno risposto, balbettando qualcosa in un livello d’inglese abbastanza scadente (forse per l’ansia o per non aver dormito), ti squadra con sguardo severo per dirti “beautiful eyes, welcome to New York” e in quel momento smettono di tremarti le mani e finalmente puoi recuperare la tua valigia!

Dopo aver preso un treno per spostarti da un terminal all’altro (avete capito bene, l’aeroporto è talmente grande che i vari terminal sono collegati da un treno!!) cerchi il famoso AirTrain, che dovrebbe collegare l’aeroporto JFK con la metropolitana della Grande Mela. Con non poca difficoltà fai il biglietto e scendi nella banchina ad aspettare il treno. Intanto il sole è già tramontato e tu, con una valigia più pesante di te, aspetti un treno in compagnia di personaggi poco rassicuranti e ti vengono in mente le parole di tua mamma “prendi un taxi in aeroporto che rischi di perderti in metro” e che tu, che sei testarda più di un mulo, hai bellamente ignorato. D’un tratto la polverina magica che avevi come fette di prosciutto davanti agli occhi scompare e ti ritrovi sola, stanca e con poca batteria nel telefono in una stazione di periferia, senza sapere bene dove andare. Mentre pensi a come arrivare al tuo alloggio entro un’ora decente arriva il treno e pregando perché sia la direzione giusta cerchi un posto libero dove sederti. Fuori dal finestrino c’è il buio della notte illuminato a sprazzi da qualche insegna: non sei ancora a Manhattan ma forse stai andando nella giusta direzione (o almeno lo speri!). Dopo circa una mezz’oretta realizzi, leggendo i nomi delle fermate, che stai arrivando in centro e quindi decidi di scendere ad una fermata a caso e prendere il famoso taxi di cui ti parlava tua madre, anche perché devi arrivare fino a Erie Street in New Jersey, dall’altra parte del fiume Hudson! Ispirata dal nome scendi a Pennsylvania Station e cerchi l’uscita, trascinandoti dietro la valigia e maledicendoti per esserti portata dietro così tanti vestiti. Trovi l’uscita, sali le scale e ti si materializza davanti un groviglio di luci, taxi e grattacieli: sei a Penn station, nel cuore di Manhattan, di fianco al Madison Square Garden! D’un tratto la fatica del viaggio diventa adrenalina, ti metteresti a saltare e gridare e staresti li tutta la notte, con lo sguardo in su e gli occhi luccicanti ad ammirare quelle luci e quelle costruzioni che sfidano il cielo. Poi torni alla realtà, prendi finalmente un taxi (dopo esserti fatta insultare perché non pensavi ci fosse la fila anche per prendere un taxi) e ti senti come in un film, con la testa fuori dal finestrino, il vento tra i capelli e le luci della città che si riflettono nei tuoi occhi. Arrivi finalmente ad un appartamentino sgangherato al numero 78 di Erie Street, dove ti aspettano due ragazze sorridenti che, come te, stanno ancora sognando. E poco dopo, nel tuo letto, continui a sognare questa giungla immensa piena di magia solo che ora, finalmente, ad occhi chiusi.


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